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nella caverna
Ancora 1
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Mirko Leuzzi

ESSERE PITTURA
alla GALLERIA FIDIA
Testo di Gabriele Simongini
Inaugurata il 21 Ottobre - prorogata fino al 21 Novembre 2022

2022

GALLERIA FIDIA

Via Angelo Brunetti, 49

00186 (RM)

Lasciarsi accadere. Dissolversi e poi ritrovarsi dando forma ai propri incubi, ai propri sogni e deliri.

Essere pittura. Far emergere, finalmente, la propria autenticità vitale, al di là delle finzioni di una società fatta di una sterminata solitudine di massa. Fragile e sensibile, ma anche diretto e spavaldo, Mirko Leuzzi ha scoperto improvvisamente, durante il primo lockdown, la potenza originaria della pittura, la sua capacità di dare immagine diretta alla nostra totalità psicofisica, al nostro liquido biologico, in qualche modo a quella nostra “verità” di cui non sapevamo l’esistenza. Tramite la pittura, Mirko Leuzzi per certi aspetti è rinato e da due anni ci si è totalmente immerso, senza rete e senza artifici, senza conoscere i cinici meccanismi del mondo dell’arte, per essere se stesso, un approdo a cui oggi quasi tutti si rifiutano di arrivare magari nascondendosi dietro le identità fittizie dei social o in un avatar.

“Dipingo – ha confessato Mirko in un’intervista - perché entro in contatto con la mia sensibilità che prende forma con quella materia. E poi dipingo perché sento che farlo mi conferisce un ruolo in questa società che sento così lontana da me. Dipingere può salvarmi la vita, potrebbe”. Così, prima ha cominciato a dipingere di getto quelli che lui stesso ha chiamato “mostri”, tirandoli fuori dal suo inconscio, parola che oggi viene pervicacemente cancellata e rifiutata dal sistema dell’arte più alla moda all’insegna dell’impotenza creativa, del travestimento sociologico, dell’anestetizzazione emotiva, della vetrinizzazione e dell’intrattenimento infinito. Come un primitivo chiuso nella sua caverna, Mirko ha sentito di dover iniziare da capo e ha cominciato ad esorcizzare le sue paure, gli “animali feroci” che lo atterrivano. Si è affidato interamente al proprio istinto. Poi ha trovato nel corpo e nel volto femminile una sorta di multiplo alter ego che dà immagine alla fragilità (come scriveva Maupassant in “L’Horlà”, “siamo così fragili, così disarmati, così ignoranti, così piccoli, noi, su questo granello di fango che gira, diluito in una goccia di acqua”), alla solitudine, allo straniamento, al disagio, al sentirsi inadeguati in un mondo sempre più glaciale dal punto di vista emotivo. Se all’inizio queste figure rivelavano gli inquieti tentennamenti dell’avvio pittorico, subito dopo e con sempre maggior felicità di espressione, giorno dopo giorno, è nata una pittura dall’impronta personale, che rivela tutta la ricchezza interiore di Mirko. E’ come se, nell’arco di due anni, il nostro artista fosse passato attraverso la pittura dall’incubo ad una sorta di incanto, sia pur innervato da quell’istintiva profondità esistenziale che lo connota nella sua sensibilità. Del resto, la pittura non ammette menzogne e proprio per questo il nostro artista ci si identifica completamente. Ancora oggi, alla faccia delle nuove tecnologie, la pittura consente la trasmissione più diretta ed autentica dell’inconscio e del pensiero nell’azione della mano, con una misteriosa osmosi che fa affiorare dal profondo la verità delle emozioni e perfino gli archetipi universali. Un quadro è come un luogo in cui entrare, da occupare, dove scaricare qualcosa che stavi portando con te senza nemmeno rendertene conto. E’ una sorta di corpo fatto di colore, è lo specchio della propria autenticità. 
Nelle opere recenti di Mirko stesure di colori à plat, spesso solari e mediterranei, dialogano quasi musicalmente con un segno netto, modulato polifonicamente, talvolta incisivo e tagliente, più spesso sensuale e accogliente. E sempre più, con una evoluzione rapidissima ed evidentemente dettata dalla necessità interiore, Mirko padroneggia istintivamente le deformazioni trasformandole in espressioni e creando  anche una sorta di ambientazione onirica fatta di fiori rigogliosi o di tessuti arabescati. Chissà se il nostro artista ama Matisse e la sua “grande decorazione”, il suo amore per l’Oriente… E, su un versante opposto, chissà se ha mai pensato invece ai corpi contorti, traumatizzati e alle anime anatomizzate di Schiele o alle figure inquiete di Klimt incastonate in un aureo splendore… In ogni caso, nelle opere di Mirko, colpiscono quegli occhi bianchi e vuoti, che rispecchiano quasi un naufragio nel nulla, alla ricerca di una zattera a cui aggrapparsi, forse il bisogno di qualcosa in cui credere, dando immagine potente al disorientamento e al vuoto esistenziale di tutti coloro che non riescono a trovare se stessi nel mondo senza valori e identità che gli lasciamo. In uno dei suoi quadri più recenti, da che cosa si nasconde o che cosa teme quella giovane donna, quasi interamente coperta da un lenzuolo fiorito, che sembra guardarci da una tremante lontananza? Che cosa aspettano quelle ragazze nude, perlopiù sole oppure serrate claustrofobicamente una sull’altra, quasi accatastate come oggetti di piacere? L’amore, il sesso, la felicità? Sono queste le stesse attese di Mirko? E non è quanto mai significativo il fatto che un giovane avvezzo alle pubbliche relazioni attraverso i social, per ritrovare un se stesso più autentico abbia scelto istintivamente e in modi quasi primitivi, naïf, la pittura lasciandosi andare ad un’avventura che ci sta riservando tante sorprese per la sua vitale purezza? Non è, questa, un’ulteriore prova che la verità di espressione umana permessa dalla pittura è insostituibile e tanto più oggi 
necessaria?    

 

Gabriele Simongini

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